“Siamo persuasi che le città debbano essere pensate in “lunga durata”. In altre parole, si deve sempre essere vigili, ma non impazienti. Le città, come la storia insegna, non diventano un “fatto di cultura” da un giorno all’altro, ma tramite un travagliato processo…[omissis]… emerge non di rado la tentazione di forzare i tempi, cercando di tornare ai vecchi sogni di un comando decisionale (o progettuale, o pianificatorio) fortemente accentrato, capace di mutare, in tempi brevi, l’assetto delle nostre città e il modo di vivere della gente. Diciamo la verità: questa non è più una strada percorribile.”
Così scriveva Tomás Maldonado (“il futuro della modernità” 1987)
Tempo, ci vuole tempo.
Eppure la Milano dei 30 all’ora, la Milano dei 15 minuti, la Milano delle piste ciclabili, sembra voler bruciare le tappe senza pianificare adeguatamente la cosiddetta “transizione ecologica”.
Sorge il sospetto che la “guerra alle auto” in atto in questo periodo non sia stata preceduta da un lavoro adeguato sulle infrastrutture volto a ridurre in maniera importante e spontanea la circolazione dei veicoli privati.
La mobilità, che nel futuro dovrà essere estremamente diversificata ed integrata, è un diritto ed una necessità di tutti.
La bicicletta d’altra parte (senz’altro utile) non può essere la soluzione di tutti i mali, in particolare se si parla di area metropolitana.
Servono parcheggi di interscambio, servono treni che arrivino in orario e che non vengano soppressi all’ultimo minuto, serve un carshering esteso a tutta l’area metropolitana.
E si, continuerà a servire l’auto privata (magari elettrica) perché ci saranno attività che non potranno prescinderne.
Il cittadino su cui tarare il cambiamento non è quello che abita in piazza San Babila e prende la bici per andare nel suo ufficio in via Manzoni mentre la “tata” porta i figli all’asilo.
È invece quello che abita in periferia o in un paese dell’hinterland e prende l’auto per andare a lavorare dall’altra parte della città dopo aver accompagnato i figli a scuola; quello che durante l’intervallo va a fare la spesa per la famiglia e la sera deve riattraversare la città per riprendere i figli e tornare a casa.
Le città sono cresciute negli ultimi 100 anni intorno all’automobile privata; l’unico modo oggi per invertire la rotta è creare delle alternative credibili, pratiche, convenienti che rendano presto obsoleta la mobilità conosciuta fino ad oggi.
La trasformazione green, viste le carenze infrastrutturali ed i costi elevati delle abitazioni in Milano, non può pesare quasi totalmente sulle classi meno abbienti, costrette a spostarsi nell’hinterland ed obbligate ad un pendolarismo massacrante.
Una vera rivoluzione della mobilità richiede tempo.
Tempo, lungimiranza, pianificazione e perseveranza.
Soprattutto se si persegue il progetto di una città sostenibile e socialmente inclusiva.