Il 10 febbraio 1996 il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov fu battuto per la prima volta da un computer soprannominato Deep Blue.
Una settima dopo Kasparov si riprese la rivincita battendo a sua volta la macchina.
Era però il segnale di una svolta.
Un anno dopo, per l’esattezza l’’11 maggio 1997, Deep Blue battè il più grande scacchista del mondo in sole 19 mosse.
In un anno i programmatori della IBM avevano potenziato in modo tale il computer da renderlo capace di analizzare ben 200 milioni di mosse al secondo.
È il 16 marzo 2025; presso la Feltrinelli di via Sabotino, nell’ambito della Feltrinelli Comics Week ascoltiamo un interessante intervento di Maurizio Nichetti.
Parla di AI: nelle sue parole, sostanzialmente a favore della tecnologia, si legge l’idea (forse la speranza) che ci sia e ci sarà sempre uno spazio per una creatività umana non replicabile dalle macchine.
Su questo, forse, è legittimo nutrire dei dubbi.
Qualsiasi attività umana, qualsiasi decisione deriva dal nostro bagaglio di esperienza, da dati accumulati nel nostro cervello.
Da architetti abbiamo studiato “composizione architettonica” (non esiste il corso di “invenzione architettonica”) perché l’atto creativo del progettare è una riflessione/elaborazione/reinterpretazione/riadattamento di dati cogniti.
In questo l’AI è e sarà sempre, in misura crescente, superiore.
Non è detto che sia un male
Quello che spaventa è l’inevitabile “omologazione” ed il rischio che l’uso diffuso di strumenti come ChatGPT limiti fortemente lo sviluppo della capacità analitica delle nuove generazioni.